DEMOLIAMO LUOGHI COMUNI
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lunedì 20 luglio 2015

Un sonnambulo si sveglia, e vi spiega due cosette/1

Dopo aver letto Lettera aperta agli amici sonnambuli sento forte l'urgenza di introdurre un qualche elemento di sana realtà nel dibattito sulla Grecia, che si sta pericolosamente avvitando. Trovo davvero stupefacente che certi dati vengano costantemente ignorati pur di conservare una posizione ideologica. Ricostruiamo il quadro.
Nessuno, fra me e Marino&Fabrizio, suggeriva al governo greco di procedere senz'altro all'uscita dall'euro. Condividevamo tutti l'idea che nelle particolari condizioni greche l'uscita sarebbe stata foriera di di disastri, e che comunque avrebbe rappresentato un tradimento del mandato elettorale di SYRIZA. Credevamo però in altre due cose:

1) che i vertici europei volessero a tutti i costi evitare l'uscita della Grecia, per evitare l'effetto domino e quindi la disgregazione della moneta unica;

2) che fuori dall'euro e dalla UE qualcuno avrebbe aiutato la Grecia. Facevamo riferimento in particolare alla Russia e alla Cina. Ciò apriva il versante geopolitico della questione: gli USA avrebbero fatto di tutto per cercare di evitare che la Grecia cadesse nelle mani di Putin.

Dal canto mio, aggiungevo una considerazione che arricchiva il quadro senza modificarlo:

3) e cioè che i tedeschi non volessero affatto assumersi la responsabilità dell'uscita della Grecia, e che avrebbero di gran lunga preferito che tale responsabilità la assumesse il solo governo di Atene.

La diagnosi dunque era comune. Le idee sulla terapia invece divergevano, ma non così drammaticamente. Marino&Fabrizio ritenevano che Tsipras avrebbe dovuto utilizzare la minaccia dell'uscita dall'euro: io ritenevo il contrario, in ossequio al punto 3) e quanto spiegato qui. Ma la differenza, ad un occhio attento, si rivela minima. Il governo greco, di fatto, ha sempre minacciato la Grexit. In un abile gioco politico si è sempre spogliato di qualsiasi responsabilità in tal senso, designandola come un evento odioso ma inevitabile, al di fuori delle sue capacità di intervento, qualora i creditori non si fossero decisi a scendere a patti. Marino&Fabrizio suggerivano a Tsipras di minacciare di gettarsi dal burrone: Tsipras ha invece sempre danzato sull'orlo del precipizio (o altre metafore del genere), ripetendo che se fosse caduto non sarebbe stato per sua scelta. Dal punto di vista pratico le due strategie sono identiche: esse si fondano su un comune presupposto, ovvero che gli eurocrati temessero come la morte l'uscita della Grecia
Contemporaneamente, Tsipras cercava alleati extra-europei, in ossequio al punto 2), e lasciava a Varoufakis l'elaborazione di un piano B nella denegata ipotesi che i creditori li costringessero davvero a lasciare l'euro. Sul piano B torneremo più avanti. 

I mesi di trattative passavano, e i greci esportavano euro a tutto vantaggio della posizione negoziale del governo greco. Si aprivano le prime crepe nel fronte dei creditori, che però rapidamente si chiudevano. Gli incontri con Putin si moltiplicavano, senza però portare a nulla di molto concreto. A fine giugno l'ultimatum dei creditori, unitamente al congelamento degli ELA, mettevano in chiaro a Tsipras qual era l'intento della controparte: non arrivare ad un accordo, ma provocare una caduta del governo, sfruttando la divaricazione tra un governo deciso a resistere ed un popolo terrorizzato dall'eventualità della Grexit. Astutamente il governo indisse il referendum, volto a sventare tale tentativo di golpe mediante la dimostrazione che governo e popolo in realtà erano compatti. La manovra riuscì perfettamente. Tsipras presentò pochi giorni dopo le sue proposte ai creditori, volutamente moderate per non dare l'idea che questi ultimi fossero stati costretti a cedere su tutta la linea.
E fu lì che l'analisi condivisa da me, da Marino&Fabrizio, e dallo stesso governo greco, andò in pezzi.
Accadde l'inimmaginabile: il governo tedesco propose, in termini ufficiali, quella che può essere definita l'espulsione della Grecia dall'eurozona, accompagnata da pelosissimi ed inquietanti “aiuti umanitari”. Si dimostrò così falso l'assunto che i vertici europei volessero a tutti i costi evitare la Grexit per scongiurare i rischi di disgregazione dell'eurozona, e in particolare si dimostrò inconsistente l'idea che i tedeschi non volessero assumersi una simile responsabilità. Messi alle strette, se la sono assunta. E in una sola mossa, hanno sottratto ai greci qualsiasi leva negoziale.

Patetica, a questo punto, si rivelò l'idea che la Grecia avrebbe dovuto minacciare l'uscita dall'euro.
In una simile situazione, Tsipras doveva accettare l'orrendo accordo che gli veniva proposto, ovvero preparare l'uscita dall'euro. Un'uscita che persino un conclamato noeuro come Costas Lapavitsas ammetteva essere ingestibile. Quest'ultimo scenario appariva davvero disastroso agli occhi di Tsipras non perché mancasse un piano b, ma perché mancava la valuta estera necessaria a renderlo sostenibile. Il punto 2), infatti, si è dimostrato essere anch'esso estraneo alla realtà: Tsipras ha dichiarato di aver chiesto a Russia, Cina e USA aiuto finanziario in caso di Grexit, e di aver ricevuto solo risposte negative. La Grecia era dunque sola. Non c'era piano B che tenesse: non poteva esserlo l'emissione di IOU, espediente che avrebbe potuto funzionare per una settimana o due (vedi anche qui e qui). Il piano presentato dalla sinistra interna di SYRIZA, modellato attorno all'esperienza islandese, non aveva alcun senso: l'Islanda infatti dopo il referendum del 2009 (?) e il conseguente default entrò sotto la tutela FMI, intervento che le consentì (al prezzo di una severissima austerità) di preservare il valore della propria valuta. Peccato che uscire dall'euro avrebbe comportato il default della Grecia nei confronti del FMI. Dunque lo scanario islandese, oltre che austeritario quanto e più della permanenza nell'euro, era anche impossibile dal punto di vista pratico.

Naturalmente si può rimproverare a Tsipras di non aver scelto la strada del Grexit come prodromo di una rivoluzione socialista. In effetti, per gestire il repentino passaggio tra l'euro e la nuova valuta sarebbero state necessarie misure da comunismo di guerra, almeno per alleviare i disagi della popolazione. A chi condivide questa critica si possono dedicare le seguenti parole, citate qui:

È rivelatore del panorama politico europeo – anzi, mondiale – che i sogni di socialismo di ognuno sembravano poggiare sulle spalle del giovane primo ministro di un piccolo paese. Sembrava che ci fosse una fervente, irrazionale, quasi evangelica credenza, che un piccolo paese, affogato nei debiti e a corto di liquidità, avrebbe in qualche modo (e quel qualche modo non viene mai specificato) sconfitto il capitalismo globale, armato solo di bastoni e pietre. Quando sembrava che ciò non sarebbe accaduto, gli si sono rivoltati contro… Come è facile essere ideologicamente puri quando non si sta rischiando nulla. Quando non devi fronteggiare la mancanza di beni, il collasso della coesione sociale, il conflitto civile, la vita e la morte. Come è facile chiedere un accordo che evidentemente non sarebbe stato accettato da nessuno degli altri Stati membri della zona euro. Quanto è facile prendere decisioni coraggiose quando non si mette in gioco la propria pelle, quando non devi farei conti con il conto alla rovescia, come succede a me, delle ultime ventiquattro dosi del farmaco che impedisce a vostra madre di avere crisi epilettiche.

Ma questa non deve e non vuole essere una difesa d'ufficio di Tsipras, che del resto non ne ha bisogno. Queste righe rappresentano invece l'ammissione di un grave errore: credevo in ciò che è contenuto ai punti 1), 2) e 3), che si sono rivelati del tutto infondati: ecco la misura di quanto mi sono sbagliato. Marino&Fabrizio condividevano almeno i punti 1) e 2), ma siccome non vogliono ammettere di essersi sbagliati, devono imputare la sconfitta di Tsipras a debolezze e cedimenti di quest'ultimo, quasi che fosse un traditore del proprio paese.
C'è poi da aggiungere un ultimo punto. Schiacciare Tsipras non è stata gratis per la Germania e per l'UE. Gli eurocrati hanno finalmente gettato la maschera, rivelando il loro volto. Cominciamo ad avere articoli come questo, e riflessioni come questa, prima impensabili. Dovessi riassumere tutto ciò in un tweet, sceglierei questo.
Se  oggi è possibile una maggioranza euroscettica nel sud europa, è merito dell'esperienza del governo greco. Gli anti-euro dovrebbero fargli un monumento; invece ci sputano sopra. 

Rimangono alcune questioni sul tappeto. Questo accordo evita definitivamente l'uscita dall'euro dalla Grecia? Non è forse vero che è per colpa dell'euro che la Grecia si è trovata in questa situazione? Questa vicenda non dimostra che l'euro e la UE sono irriformabili, che l'internazionalismo è una favola, e che il nazionalismo è l'unica prospettiva per un movimento di sinistra? Ne parleremo nei prossimi giorni, perché concentrare queste questioni in unico post lo renderebbe pachidermico. A presto.






mercoledì 10 giugno 2015

Il reddito di cittadinanza e la Costituzione

Ha sollevato un certo stupore, negli ambienti anti-sistema, scoprire una netta convergenza tra Matteo Renzi e personalità insospettabili nella contrarietà al reddito di cittadinanza, così come proposto dal M5S. Alcuni fini giuristi si sono spinti a dire che il reddito di cittadinanza sarebbe addirittura contrario allo spirito, se non alla lettera, della Carta Costituzionale.
Avevamo già individuato alcuni strani casi di coincidenza di vedute tra esponenti dell'antisistema e del mainstream: clamorosa quella tra Schauble e i noeuro.
Non è mai facile comprendere le ragioni di queste sorprendenti convergenze. Con riferimento al tema specifico dobbiamo dire che il reddito di cittadinanza, in sé, non ci entusiasma: meglio sarebbe un programma di lavoro garantito coadiuvato da una riforma dei servizi pubblici all'insegna della gratuità (come spiegato qui). Stiamo parlando, oltretutto, di uno strumento "da maneggiare con cura", e che potrebbe anche sortire effetti controproducenti:


Tuttavia non ci verrebbe mai in mente di condurre crociate contro il reddito di cittadinanza; tantomeno potremmo pensare di mentire spudoratamente per attaccare quell'idea, come si fa quando si dice che essa è contraria a Costituzione.
Sul punto, è bene leggere questo ottimo articolo,
il quale giustamente richiama la disposizione costituzionale rilevante in materia, il secondo comma dell'art. 38:

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. 

Verrebbe quasi da dire che introdurre il reddito di cittadinanza risponda ad un obbligo costituzionale, altro che divieto!
Nella sua raffinatezza, la Costituzione italiana menziona un concetto keynesiano come la disoccupazione "involontaria". Si prende quindi atto che, in certi casi, il sistema economico non produce abbastanza impieghi per tutti. Se è vero che è compito della Repubblica garantire a tutti l'effettivo esercizio di un diritto al lavoro (art. 4 Cost.), è anche vero che, nel frattempo, non si può che fornire una qualche assistenza a chi un impiego non lo trova, e non lo può trovare.
Questo è quanto. Ora però vorrei inserire alcune considerazioni un po' più originali.
Quando si accenna alla non volontarietà, bisogna intendersi su quali siano i limiti della stessa. Se mi viene offerto un impiego non retribuito, ad esempio, e io lo rifiuto, mi ritrovo disoccupato in conseguenza di una mia scelta. Ovviamente questo grado di formalismo è inaccettabile. Ma allora qual è il limite entro il quale il rifiuto di un impiego non porta a considerare la disoccupazione come volontaria? 
Per capirlo, è consigliabile fare riferimento al medesimo testo costituzionale. Possiamo individuare due parametri: quello della dignità della persona e quello della sufficiente retribuzione
Del primo si ha un riconoscimento espresso all'art. 3 (tutti i cittadini hanno pari dignità sociale...), e soprattutto all'art. 41, laddove si afferma che "l'iniziativa economica privata (...) non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana".
Del secondo si ha un riconoscimento espresso al primo comma dell'art. 36, che si ricollega al tema della dignità:

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.

Per le donne le condizioni diventano ancora più stringenti, come testimonia l'art. 37:

La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.

Se ne può trarre la seguente indicazione: ogni cittadino ha sì il diritto di lavorare, ma quando si parla di "lavoro" in Costituzione si intende un impiego che, da un lato, non urta la dignità della persona, e all'altro garantisce una retribuzione adeguata. Un lavoro dignitoso, in una parola. Ne consegue che non può essere considerata involontaria la disoccupazione di chi rifiuti un impiego non dignitoso, ovvero un impiego che non gli garantisca una retribuzione adeguata.
Queste considerazioni, peraltro, evidenziano un limite della proposta dei 5 stelle: il cittadino disoccupato perde il reddito di cittadinanza se rifiuta tre offerte di lavoro, qualunque esse siano. La necessità di evitare che la persona sia costretta ad accettare qualsiasi lavoro, messa in evidenza da Grillo, non viene assicurata in misura definitiva. 
Ancora una volta, sarebbe opportuno non lasciare al mercato la scelta dell'impiego cui adibire i disoccupati, bensì organizzare un programma di lavoro garantito che sappia valorizzare le competenze e le vocazioni di ciascuno, garantendo un trattamento retributivo adeguato.