DEMOLIAMO LUOGHI COMUNI

lunedì 27 aprile 2015

Perché Tsipras fa bene a non parlare di uscita dall'euro

(post scritto prima che giungesse questa notizia. Alle informazioni sulla Grecia occorre fare la tara, doppia o tripla se provengono da giornali italiani. Se i fatti fossero confermati essi potrebbe assumere il significato di una resa di Tsipras? E' presto per giudicare. Certo, se così fosse sarebbe una sciagura per tutti, greci e non; e per questo appare incomprensibile il ghigno di soddisfazione con cui in troppi segnalano, sul web, questa notizia)

Un recente sondaggio ha ridimensionato la fiducia che i greci nutrono per il governo di Alexis Tsipras, così come il consenso (virtuale) verso SYRIZA. Alcuni hanno riportato questo dato presentandolo come la prova del fatto che la strategia negoziale di Atene non è popolare presso i greci, visto che manca di mordente e di intransigenza; l'handicap principale, si dice, sarebbe l'indisponibilità del governo greco ad uscire dall'euro, o anche solo a minacciarla
Chi dice così non tiene conto di altri dati che emergono dal sondaggio. E' aumentata tra i cittadini greci la preoccupazione che il grexit si avvicini; ed è stabile il rapporto tra favorevoli e contrari alla permanenza nella moneta unica: per ogni due greci favorevoli all'uscita, ce ne sono sette favorevoli alla permanenza. Se si mette in correlazione questo dato con quello relativo alla fiducia in Tsipras, emerge un quadro piuttosto nitido: molti greci, pur favorevoli ad una trattativa "dura" con i partner europei, sono molto preoccupati che, all'esito della stessa, il governo di Atene sia forzato ad abbandonare la moneta unica. Se ci pensate, è la stessa situazione che si crea nelle vertenze sindacali più combattute: i lavoratori in sciopero vorebbero ovviamente condurre la lotta fino alla vittoria, ma alcuni di loro sono terrorizzati dall'eventualità che il padrone chiuda la fabbrica, oppure sono preoccupati per la durata dello sciopero, che nega loro lo stipendio. 

Si può dunque affermare che se il governo greco dichiarasse l'uscita unilaterale dell'eurozona tradirebbe in maniera palese il proprio mandato elettorale, e compierebbe un atto profondamente impopolare. Lo stesso potrebbe dirsi per le idee di uscita concordata dall'euro, che tanto piacciono a Fassina e Lapavitsas (e che sono assurde, come dimostreremo in un prossimo post).

Molti euroscettici, tuttavia, criticano Tsipras non tanto perché non annuncia il grexit, quanto perché non lo minaccia al fine di prevalere nella trattativa. Gli eurocrati, si dice, temono come la morte la fine dell'euro, che sarebbe conseguenza pressoché inevitabile dell'uscita della Grecia; di conseguenza se Tsipras ventilasse tale ipotesi, gli eurocrati cederebbero: pertanto il governo greco, giurando fedeltà all'euro, si è in realtà privato dell'unica arma di pressione che aveva a disposizione.

A prendere sul serio questa critica, si sarebbe portati a pensare che il governo di Atene sia composto da emeriti imbecilli animati da pulsioni suicide: si presentano ad un negoziato privi dell'unico strumento che potrebbe far loro vincere il negoziato. Una condotta da completi deficienti.
Spesso però è opportuno non sottovalutare gli attori politici, e cercare una spiegazione logica alle loro mosse; e Tsipras potrebbe averne almeno una estremamente solida e coerente. 

Come dovrebbe essere noto, la maggior parte dei cittadini tedeschi vuole la Grecia fuori dall'euro. Il discorso può essere generalizzato per i cittadini olandesi, austriaci, finlandesi. Del resto, anche molti italiani (di fede anti-euro) vogliono il grexit, timorosi di dover sborsare altri soldi in "aiuti" ad Atene. Le iniziative del governo Tsipras vengono spesso recepite con fastidio da queste opinioni pubbliche, a cui vengono dipinte come tentativi dei soliti greci di evitare i sacrifici e farla franca.

In questo quadro, il politico tedesco (o comunque "nordico") che favorisse l'uscita dall'euro della Grecia sarebbe premiato dall'elettorato; il politico che favorisse la permanenza non sarebbe premiato. Se poi i negoziatori greci ponessero alle controparti "nordiche" un aut-aut del tipo "o accettate le nostre condizioni, oppure usciamo dall'euro", assisteremmo, con matematica certezza, al rifiuto dei  "nordici" della proposta greca: qualunque politico tedesco che si piegasse ad un simile "ricatto", infatti, verrebbe semplicemente obliterato dai propri elettori, che vedono sia la permanenza della Grecia nell'eurozona, sia la proposta di Tsipras di farla finita con l'austerità, come fumo negli occhi. Un cittadino tedesco difficilmente accetterebbe di vedere umiliato il proprio paese (accettare un aut-aut è sempre umiliante); ma non potrebbe mai consentire che ciò avvenisse al fine di tenere la Grecia nell'euro. 
Ed ecco spiegata la pervicacia di Tsipras nel proporre un compromesso onorevole con i creditori: il Premier greco sa bene che occorre trovare un tipo di accordo che permetta ai negoziatori tedeschi di salvare la faccia in patria. Se invece avesse minacciato l'uscita dall'euro, avrebbe sostanzialmente costretto i "nordici" a opporgli un rotondo "NO"; e siccome non avrebbe potuto dar seguito alla propria minaccia, stante la granitica opposizione dei greci all'uscita dall'euro, avrebbe perso qualsiasi credibilità in sede internazionale, e di conseguenza qualsiasi possibilità di negoziare un qualsiasi accordo che permettesse alla Grecia di uscire dall'austerità.
Una condotta, questa sì, da completi deficienti. 

Un'altra cosa che Tsipras conosce perfettamente è che i politici "nordici" non sono contrari, in linea di principio, all'uscita dell'euro della Grecia; basta che il governo greco se ne assuma la responsabilità. I segnali sono numerosi: dal tentativo di minimizzare le conseguenze del Grexit, a quello di spostare la responsabilità dell'evento sul governo greco. Gli eurocrati temono, naturalmente, l'effetto domino che deriverebbe dall'uscita dall'euro della Grecia, ma sanno anche che se tale evento apparisse come conseguenza dalle scelte unilaterali di un governo di comunisti, gli investitori internazionali lo registrebbero come un evento eccezionale, un cigno nero: se invece derivasse da un "default accidentale" l'evento verrebbe registrato come la prova che il sistema dell'euro è intrinsecamente instabile, e ciò che è accaduto alla Grecia può accadere anche a Cipro, al Portogallo, alla Spagna...*

Ecco delinearsi il senso della strategia di Tsipras e Varoufakis: danzare sull'orlo del burrone, mettendo gli eurocrati di fronte alla responsabilità di rendere probabile il "defaul accidentale". Se i greci non cedono, si aprono due possibilità: o gli eurocrati rimangono fermi sulle loro posizioni, ma allora rendono probabile il crollo dell'euro; oppure concedono alla Grecia un accordo onorevole, ma allora questa è la dimostrazione che le leggi dell'euro non sono immutabili.

Non è detto che questa strategia porti Atene al successo. Di sicuro, però, essa rappresenta la prova che Tsipras si avvale di consiglieri più svegli della maggior parte dei blogger "antisistema" nostrani.





*chi crede che questa interpretazione dia troppo peso alla psicologia degli operatori economici non ha compreso la lezione di Keynes, che assegna un ruolo centrale a tale psicologia.

martedì 21 aprile 2015

Allegria di naufragi

L'ottimo Mazzetta, su Twitter, ha trovato un campionario dei commenti più disgustosi alla grande carneficina del Canale di Sicilia. Eccoli:



Non bisogna mai dimenticare che l'Apartheid, il segregazionismo USA, i vari fascismi conobbero un sostegno di massa. Così è anche per la mattanza dei migranti africani.
In un mondo più giusto, queste persone andrebbero messe su un apposito barcone e lasciate alla deriva. Nel mondo in cui realmente viviamo, queste persone votano. Ed è proprio questa la ragione principale dell'impossibilità di risolvere il problema dell'immigrazione.

Cerchiamo di ragionare.

Per risolvere il problema, ci sono due vie, alternative tra loro. La prima è quella del blocco navale, naturalmente sponsorizzata dai Nazisti dell'Illinois, ma anche da Renzi, il quale, ricordiamolo, è responsabile del passaggio da Mare Nostrum a Triton, ovvero del taglio dei due terzi delle risorse destinare al soccorso in mare dei migranti. Questa proposta, ovviamente, non può aver alcun riflesso pratico finché non si è disposti a sparare sulle imbarcazioni dei migranti; per la banale ragione che quelli non si fermano. Occorrerebbe pertanto un pattugliamento costante (e costoso) delle coste libiche e tunisine, composto da unità pronte ad annientare le imbarcazioni che tentano di forzare il blocco. Al decimo affondamento è presumibile che i migranti si scoraggino, e che smettano di tentare la fortuna sui barconi.
Naturalmente questa via è del tutto impercorribile. Nessun politico, militare o funzionario si assumerebbe mai la responsabilità di simili crimini contro l'umanità. Tali crimini sono però l'elemento che darebbe effettività al blocco navale. In ultima analisi, non ci sarà alcun blocco navale: chi ve ne parla spacciandolo per soluzione è un cialtrone e/o un ipocrita.

L'altra soluzione è quella di approntare una linea di traghetti tra le coste libiche e un qualche porto siciliano. Questa proposta, assai meno paradossale di quel che appare, è stata avanzata da alcuni studiosi seri del fenomeno, e implicherebbe numerosi vantaggi: impedirebbe le stragi, stroncherebbe le organizzazioni criminali (i migranti pagherebbero alla linea di traghetti il biglietto che ora pagano agli scafisti), farebbe risparmiare fior di quattrini alla marina militare, permetterebbe un controllo preventivo, anche sotto il profilo sanitario, delle persone che intendono migrare in Italia. In una battuta: se la Tirrenia avesse cominciato a fare questo tipo di operazioni dieci anni fa, oggi non avrebbe i conti in rosso, e si sarebbero salvate molte migliaia di vite umane.
Questa soluzione, tuttavia, implica altre iniziative, di notevolissima portata. L'afflusso di immigrati andrebbe regolato, gestito, organizzato. Al netto dei richiedenti asilo, andrebbe preparato un programma di avviamento al lavoro, vincolato al buon comportamento del soggetto e dotato di un termine; ad esempio, si potrebbe prevedere di concedere all'immigrato una permanenza, e un impiego, della durata di 5 o 10 anni. Si tratterebbe pertanto di un programma di lavoro garantito*. Il programma, tuttavia, non potrebbe includere solo gli immigrati, ma anche i cittadini italiani, pena un'intollerabile disparità di trattamento. 
Anche così facendo, occorrerebbe comunque cercare di limitare i numeri degli arrivi. Per farlo, sarebbe necessario prendere sul serio il leit-motiv di tutti gli xenofobi, aiutare gli stranieri a casa loro. Ma cosa può significare questa espressione? Se vogliamo darvi un senso, dobbiamo interpretarla nel senso che gli stati europei dovrebbero investire alcune decine di miliardi di euro l'anno nell'indutrializzazione (possibilmente compatibile con l'ecosistema) dei paesi dell'Africa sub-sahariana. Gli impieghi sarebbero innumerevoli: dall'introduzione di metodi moderni e meccanizzati per l'irrigazione dei suoi, all'introduzione di reti di servizi efficienti negli agglomerati urbani, all'installazione di centrali di produzione di energia rinnovabile (si pensi al solare); il tutto realizzabile da una forza lavoro retribuibile in misura trascurabile (per gli standard occidentali, non per quelli sub-sahariani: si pensi a stipendi da 100 euro al mese in Mali).

Come è evidente, le soluzioni sarebbero molteplici; il problema è che non sono praticabili. La Lega Nord, e tutti i partiti consimili, sarebbero favorevoli a che l'Europa investisse alcuni decimali del suo PIL** nei paesi da cui provengono gli immigrati? La risposta è prevedibile: un rotondo NO. "Aiutarli a casa loro" va bene come slogan per evitare di affrontare il problema, non come soluzione pratica.

La verità è che possiamo inventarci tutte le soluzioni più variopinte, ma che esse verranno tutte invariabilmente affondate dal feroce egoismo dei commentatori di cui sopra, che sono massa elettorale per soddisfare la quale si prodigano Salvini e Renzi, Berlusconi e Grillo (e Sarkozy-Merkel-Farage-Le Pen-Cameron-Rutte). Questo non è una questione che possiamo pensare di affrontare gratis, senza concedere qualcosa, senza fare alcun sacrificio (ampiamente ripagato nel lungo termine); senza mettere tra le premesse del problema la necessità di rispettare la dignità dei migranti, anche a costo di togliervi il principio della conservazione del quattrino con ogni mezzo.

Al prossimo affondamento.





*è il primo articolo in italiano che ho trovato sul lavoro garantito, non datemi del memmetaro.
** il quale, nel 2014, ha superato i 18400 miliardi di euro.

sabato 18 aprile 2015

Alberto Bagnai e i Nazisti dell'Illinois

Partiamo da questa notizia. La Lega Nord non solo vuole radere al suolo i campi Rom, ritenuti indistintamente feccia della società. Non solo vuole sospendere le operazioni di soccorso navale nel Canale di Sicilia, il che non significa altro che lasciar annegare i migranti. Non solo esprime, attraverso i suoi esponenti di punta, l'esigenza di rivalutare il Nazismo. Adesso tra i bersagli ci sono anche i partiti comunisti. Ricorda la poesia di Martin Niemoller: prima vennero...

La Lega di Salvini si presenta come diversa dalla Lega austeritaria, tecnocratica e confindustriale di Maroni e Tremonti; quella che è stata al governo fino al 2011, per intenderci. In realtà, gli elementi di intolleranza e razzismo erano già fortissimi allora, e si può dire che facciano parte del patrimonio genetico del partito. Con Salvini, tuttavia, quegli elementi definiscono in via quasi esclusiva la linea del partito: una linea di attacco, aggressiva e feroce, tesa a costruire un forte polo di destra neo-nazista in Italia, sul modello greco e ungherese, ancor più che francese. Il tutto con il favore di media irresponsabili, che con l'intento di fornire a Renzi una opposizione di comodo danno visibilità alla nazi-Lega, giocando con il fuoco. 

La Lega di Salvini è una minaccia per la democrazia. C'è da chiedersi cos'altro dovrebbero fare i suoi esponenti perché tanti se ne accorgano: passare all'azione? Organizzare dei pogrom?

Ora, Alberto Bagnai è molto, molto vicino alla Lega Nord. Fino a ieri gravitava soprattutto nei pressi di Gianni Alemanno, ma poi qualcosa è andato storto. Si può dire che Bagnai abbia avuto una parte non trascurabile nel successo della nazi-Lega di Salvini: in effetti un partito di estrema destra favorevole all'euro, com'era la Lega  prima del 2013-2014, è una contraddizione in termini. Bagnai ha fornito a Salvini le parole per dirlo; e di conseguenza la Lega ha potuto attingere appieno al suo bacino elettorale naturale. Un sodale di Bagnai, Claudio Borghi, è divenuto persino un quadro organico del partito. 
Come molti lettori si ricorderanno, la carriera di "divulgatore" anti-euro di Bagnai non inizia tanto con gli articoli sul Manifesto o su La Voce, bensì con il convegno di Chianciano dell'ottobre 2011; Convegno organizzato da quei Marxisti dell'Illinois di cui tanto il nostro si è fatto beffe in questi anni.

A questo punto la domanda sorge spontanea: ma che senso ha prendere le distanze dai Marxisti dell'illinois, per poi cadere nelle braccia dei Nazisti dell'Illinois, anzi della Padania?

Ma non eravamo tutti contro l'euro in nome dell'antifascismo, perché l'euro è nazista? (ah no, forse adesso l'euro è comunista...). Come si fa a combattere l'euro-nazismo collaborando con una forza neo-nazista? Forse Bagnai, per una questione morale ancor prima che politica, farebbe bene a pronunciarsi in maniera chiara e netta contro le mostruosità della Lega di Salvini. Parola di commentatore n.1 del suo blog (firmato):







domenica 12 aprile 2015

Ma #Fuoridalleuro sta funzionando?

Un luogo comune abbastanza diffuso nell'ambito dell'Antisistema è quello secondo il quale il M5S deve la sua crisi ad una posizione ambigua sull'euro; se il Movimento si fosse pronunciato chiaramente per l'uscita, si dice, non solo avrebbe impedito il successo mediatico e politico di Salvini, ma avrebbe sicuramente ottenuto un miglior risultato alle elezioni europee.
I dirigenti del M5S sembrano aver ascoltato questi suggerimenti, lanciando la campagna Fuori dall'euro, anzi #Fuoridalleuro. Saranno contenti quelli che insinuavano che il Movimento fosse composto da infiltrati dell'eurocrazia per sviare le masse.
La campagna è stata lanciata nell'ottobre del 2014. Sono passati più di sei mesi, ovvero un lasso di tempo sufficiente per valutarne le conseguenze in termini di consenso. Vediamo i risultati.


Il lettore è pregato di tracciare una linea verticale che parta da 'Oct 2014'.
Con tutta evidenza, la campagna per il referendum sull'euro non ha avuto il minimo impatto sulle preferenze di voto per il M5S; non è riuscita né a scalfire il consenso del PD, né, in particolare, ad arrestare la crescita della Lega.
Se uno avesse la pazienda di consultare tutti i sondaggi degli ultimi sei mesi, noterebbe due cose: un discreto picco dei consensi al M5S in corrispondenza dell'inchiesta Mafia Capitale; e una leggera risalita nelle ultime settimane. Questa ultima risalita, a mio modesto avviso, è riconducibile alla circostanza, alla portata di qualsiasi osservatore, che da un po' di tempo il M5S non attira più l'attenzione dei media per i suoi contrasti interni, ma per le cose che dice; prova ne è il fatto che nei talk shows sono sempre più presenti esponenti del Movimento, e non più solo i fuoriusciti.
Alla luce di questi dati, è forse lecito formulare un'ipotesi: chi affermava che i guai del M5S erano dovuto all'ambiguità sulla questione euro esagerava, e grandemente, l'importanza che tale questione ha presso l'elettorato italiano, che è invece sensibile ad altre questioni; prima su tutte, il malaffare del ceto politico.

mercoledì 8 aprile 2015

Cosa abbiamo fatto per meritarci Diego Fusaro?

Ogni icona, anche piccola, merita il suo carico di satira. Diego Fusaro è indubbiamente una piccola icona, e questo è un pezzo di satira particolarmente penetrante.
L'autore ci offre una divertente decostruzione della figura mediatica di Fusaro. Prima che un intellettuale infatti, Fusaro è un giovane di successo, un'autentica vedette. Nell'odierna società dello spettacolo* ogni gusto e tendenza (la massoneria, gli amanti dello yoga, gli appassionati di flag football) ha diritto ad una propria nicchia spettacolistica all'interno della quale operano le piccole star che fanno da riferimento a quel piccolo mondo. Fusaro è una star dell'Antisistema.
Sugli aspetti macchiettistici del personaggio, e sulla sua auto-promozione in termini di marketing, non posso che rimandare al pezzo linkato in apertura. Vorrei però dire due parole sul pensiero di Fusaro, ammesso che in questo caso pensiero e marketing siano distinguibili. 
Se davvero il fine della giovane vedette è costruire un "nuovo senso comune" che faccia da base ad un "fronte trasversale anticapitalista", chi abbia una minima frequentazione degli scritti del Nostro e soprattutto di quelli Preve sa che quel "senso comune" altro non è che il vecchio ordine sociale borghese.
Fusaro si appropria di una parte in grado di toccare una o più corde dell'animo di ciascuno di noi: quella di chi denuncia i mali del nuovo e predica il ritorno ai valori dell'antico. La critica principale (se non l'unica) che il Nostro rivolge al capitalismo è di aver sconvolto il vecchio ordine sociale borghese, fatto di equilibrio, misura e certezze. In quest'ottica Marx viene rielaborato come filosofo integralmente idealista, hegeliano, conservatore e, in ultima analisi, borghese. Chi ha dei dubbi si legga i testi di Fusaro, o anche solo quelli di Preve, che sono scritti meglio e si trovano gratis su internet. Al capitalismo viene contestata la corrosione degli istituti della Famiglia, dello Stato, della Nazione, della Religione, della Scuola (intesa nel senso di educazione all'autorità). E' perciò perfettamente naturale che Fusaro contrasti aspramente l'espansione dei "nuovi diritti" (anzitutto civili), tuoni contro l'insegnamento in inglese nell'università, e assuma posizioni sull'immigrazione assimilabili a quelle dei partiti xenofobi. Quel che ci critica del capitalismo, in altre parole, è il suo (presunto) portato di modernità; non la sofferenza che infligge ai singoli e alle masse, né nessun'altra ragione.

Il senso comune a cui allude Fusaro è un senso comune reazionario; e qui sta forse la chiave intepretativa del personaggio. Poiché il senso comune reazionario è, in realtà, assai diffuso nella società, Fusaro potrebbe ergersi a interprete di questo sentimento (probabilmente) maggioritario; ma la sua esigenza di mantenere un successo di immagine e pubblico presso l'Antisistema lo costringe a utilizzare concetti e toni troppo radicali per la platea mainstream.

Ha qualcosa di vagamente "anticapitalista" questo discorso? Neanche per idea.
L'anticapitalismo, se significa qualcosa, è il tratto unificante delle esperienze di lotta per l'emancipazione e contro l'asservimento a cui conducono i rapporti sociali capitalistici. Non si lotta contro il capitalismo tanto per farlo, ma per affermare qualcosa che ha un valore concreto. Questi valori sono, tipicamente, la libertà e la dignità umana. La lotta per la libertà e la dignità accomuna tanto chi lotta per il salario quanto chi lotta per l'affermazione dei propri diritti civili. Il capitalismo non fa, e non ha mai fatto, nulla per la promozione dei diritti civili, che invece sono stati conquistati al prezzo di dure lotte, arginate dalle medesime forze che presiedono al mantenimento dei rapporti di produzione capitalistici. Del resto, solo un provinciale potrebbe individuare nella promozione dei diritti civili e nel superamento delle vecchie istitutuzioni "patriarcali" un tratto necessario dello sviluppo capitalistico: nell'ambito di un mondo completamente e integralmente dominato dalle logiche del mercato, i diritti civili sono protetti solamente in una sezione del globo, l'occidente. Gli stati del Golfo Persico, ad esempio, sono all'avanguardia dello sviluppo capitalistico contemporaneo, ma presso di loro nessuno dei vecchi valori patriarcali ha subito il minimo appannamento. Chi poi volesse alzare lo sguardo, noterebbe che in giro per il mondo (in Russia, in India, in Turchia, in Iran) si sviluppano regimi che coniugano perfettamente promozione del neoliberismo e soppressione delle libertà civili e "intime".  

Chi presenta gli elementi costitutivi di un programma politico reazionario, indicandone una natura anticapitalista, non fa altro che aggiungere confusione alla confusione, mistificazione alla mistificazione. Fusaro continuerà a farlo, perché l'Antisistema continuerà a eleggerlo a propria vedette e icona. E forse è proprio questo il motivo per cui ce lo meritiamo.



*naturalmente uso l'espressione società dello spettacolo in senso generico e volgare, e non nel preciso significato che vi ha attribuito Guy Debord.

sabato 4 aprile 2015

Ancora sulla Coalizione Sociale

Scrivevamo qualche giorno fa:

solo il tempo ci dirà se ciò che il segretario della FIOM immagina sia davvero una cosa seria, o una boutade televisiva. Certo, se è una cosa seria prima o poi verranno al pettine certi nodi: come quello della permanenza della stessa FIOM in quello che è, a tutti gli effetti, un elemento del sistema come la CGIL. 

Nella prima parte dell'articolo, come i 15 lettori ricorderanno, spiegavo quel che intendevo come condizione affinché l'iniziativa potesse dirsi seria: e ho denominato tale processo come programma di governo. Se invece l'intera operazione si rivelasse l'anticamera di una "cosa" elettorale per i fuoriusciti dal PD, il giudizio non potrebbe che essere impietoso:

lanciare nell'agone politico un cartello elettorale senza aver prima elaborato un progrmma di governo, compiere un'operazione di ricerca del potere per il potere: questo sarebbe, invece, un modo di mettere il carro davanti ai buoi, ed in definitiva di suicidarsi.

Chi scrive è un semplice spettatore privo di certezze, non in grado di prevedere quale piega prenderanno gli eventi. Questo è un carattere che mi distingue dall'amico Fabrizio Tringali, il quale invece ha già capito tutto:


Fabrizio si dice certo che l'intera operazione serva soltanto a

preparare il terreno alla nascita della "Syriza" italiana, cioè il partito di Cofferati*, l'ennesimo agglomerato di ceto politico sinistroide e maleodorante, recuperato dai cassonetti della spazzatura, ove è stato destinato dall'elettorato.

Cioè a costruire un cartello elettorale senza programma di governo; ciò che ho definito un'operazione di potere per il potere, priva di senso e di possibilità di vittoria. Una tale eventualità è senz'altro nell'ordine delle cose, e bene fa Fabrizio a metterci in guardia. Ma farebbe cosa ancora migliore se ci spiegasse perché. Ed è proprio questo, a prima vista, il principale difetto del suo articolo. Fabrizio fa un'affermazione, ma non la  giustifica:

infatti, basta provare a capire meglio le reali intenzioni di Landini, per accorgersi che la "coalizione sociale" è l'ennesima trovata utile a rivestire con uno slogan ciò che il sindacato al quale anche io sono iscritto offre davvero nel panorama politico italiano: il nulla assoluto.

Anch'io mi sono sforzato di capire, mi sono proprio concentrato, ma non ci sono riuscito. Mi aiuterebbe avere dei dati oggettivi. L'articolo ne offre?
Ripercorriamolo. In primo luogo, viene presentato "l'argomento delle TV":

Chiunque conosca un minimo gli intrecci fra media e potere, può facilmente intuire quanto possa essere davvero "rivoluzionaria" una proposta politica strombazzata su tutte le TV nazionali.

Questo però non può essere un argomento. Sarebbe come dire che l'idea di uscire dall'euro non è un'idea dirompente perchè viene ripetuta da leader politici (Meloni e Salvini) che presidiano le TV in una misura che Landini può solo sognare. D'altro canto, nessuno afferma che l'iniziativa di Landini possa e debba essere "rivoluzionaria". Appare molto più come keynesiana e socialdemocratica. E per ora, in Italia, per essere keynesiani e socialdemocratici non occorre rimanere nella clandestinità. 

Fabrizio prosegue:

Ovviamente la proposta di Landini ha scatenato un entusiasmo pari a zero.

"Ovviamente" perché? E fra chi non ha suscitato entusiasmo?

Dirigenti davvero interessati al bene dei lavoratori la cestinerebbero immediatamente.

Può essere vero, ma perché?

L'articolo prosegue con una breve carrellata delle malefatte dei sindacati italiani, fino ad oggi. Tutte critiche che, almeno a parole, incontrano il favore dello stesso Landini; ma si tratta di critiche fuori bersaglio, perché non giustificano un pronostico come quello fatto proprio dall'autore. 
A un certo punto apprendiamo che 

Il sindacato ha perso ogni capacità di lotta. E' riuscito a combattere solo le battaglie che le forze dominanti gli hanno voluto lasciar vincere, come quella sull'articolo 18 del 2002

Tutto abbastanza condivisibile, anche se non si capisce quale possa essere il criterio per distinguere tra le vittorie "vere" del sindacato e le vittorie "che gli lasciano vincere". Ma è proprio la perduta capacità di lotta che Landini pone alla base della propria iniziativa, indicando in questa uno strumento per recuperarla. Può darsi che si tratti di un'idea sbagliata, ma bisognerebbe spiegare perché. 

Si arriva così alla conclusione:

La coalizione sociale di Landini merita il giudizio che il ragioner Fantozzi riservava alla Corazzata Potemkin. Ed anzi, questo giudizio pare addirittura troppo generoso. La Corazzata di Landini è già naufragata.

Il difetto di articoli di questo genere è che sono inappellabili e incriticabili. Come potrebbe essere criticato un discorso che contiene solo asserzioni apodittiche?
Sono certo che Fabrizio ci darà presto modo di criticarlo, spiegando finalmente perché quella che ho indicato come uno dei possibili esiti della erigenda coalizione sociale sia invece uno sbocco certo e inevitabile.





*Chi conosca un minimo gli intrecci fra media e potere, sa che spesso i giornali italiani inventano le notizie, o le manipolano quanto basta per inquinare le acque. Ecco un caso clamoroso. Anche Landini è stato vittima dello stesso scherzo. Basti confrontare il testo dell'articolo con quello dell'intervista.













venerdì 3 aprile 2015

Il capolinea della tradizione socialista

Il Partito Socialista italiano nacque a Genova nel 1892. La FIOM a Livorno nel 1901.
Per ragioni che presto spiegherò, il patrimonio di valori dell'esperienza socialista italiana è l'unico dal quale possa essere tratto qualche elemento utile per lo scontro politico odierno.
È quindi una pena doppia constatare il grado di marcescenza a cui sono giunti gli attuali socialisti italiani, guidatio da un amico di Incalza. Nulla di inaspettato, ovvio, ma leggere cose come queste lascia comunque abbastanza desolati:

Segreteria Psi: Il partito al lavoro per la formazione di un Polo riformista antagonista alla "Coalizione sociale" di Landini 

(dal sito ufficiale del PSI)

In Italia gli unici che finora avevano perseguito l'antagonismo rispetto ai sindacati erano stati Mussolini e Berluconi (ironia della storia, entrambi per nulla estranei all'esperienza socialista). 
Oggi, il PSI vede come primo avversario la FIOM di Landini. Se si ha coscienza di quello che è stato il passato di entrambe le organizzazioni, un certo spaesamento lo si vive, nonostante tutto.
Spaesamento che aumenta quando si riflette sul fatto che, oggi, se qualcosa di simile ad un "fenomeno socialista" può nascere, è solo nell'alveo di quella coalizione sociale.