A lungo è stato sostenuto che ciò che
mancava nell'eurozona fosse un prestatore di ultima istanza. Altri
lamentano l'assenza di un autentico bilancio federale, o quantomeno di
un coordinamento tra politica fiscale e monetaria. In molti sottolineano
il deficit democratico delle istituzioni europee, alcuni denunciano
l'assenza di un popolo europeo. Ma ciò che davvero manca all'Europa di
oggi è tutt'altra cosa.
L'UE, che si
presenta come un'unione di stati, è in realtà un'arena di stati. Nello
scontro le varie parti fanno appello a regole e principi variamente
individuate. Abbiamo tutti sentito dire:
1) che un taglio o una ristrutturazione del debito sono vietate dai Trattati UE.
2) che è possibile la sospensione temporanea di uno stato membro dall'eurozona.
3) che non è giuridicamente possibile l'uscita di uno stato membro dalla sola eurozona.
4) che non è possibile costringere uno stato membro a lasciare l'eurozona.
5) che se la BCE avesse aumentanto la dose di liquidità straordinaria alle banche greche avrebbe violato il proprio statuto.
6) che se NON lo avesse fatto avrebbe violato i Trattati.
7) che la Germania avrebbe dovuto saldare i propri debiti di guerra.
8) che tali debiti erano stati condonati in occasione della riunificazione tedesca.
ecc ecc ecc...
E
questo elenchino riassume solo una parte delle questioni sollevate
dalla crisi debitoria degli stati dell'eurozona. Il Fiscal Compact è
compatibile col resto dei Trattati UE? Le riforme imposte dalla Troika
sono compatibili coi diritti sanciti dalla Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione? Ed è vero che la BCE ha come unico scopo
mantenere la stabilità dei prezzi, e non anche promuovere crescita e
occupazione?
Nell'attuale
situazione, ogni stato porta avanti la sua propria soluzione a queste
questioni. Date certe fonti normative (i Trattati, i principi di diritto
internazionale, le singole Costituzioni), ognuno fabbrica
l'interpretazione che più gli conviene. Questa è una situazione di
assenza di diritto. Se i contendenti sono lasciati liberi di decidere
chi tra loro ha ragione, deciderà la forza. Quando i contendenti
sono stati, deciderà lo stato più forte. E' pertanto logico che la
Germania abbia potuto schiacciare la Grecia, imponendo la sua
interpretazione, aiutata dagli altri stati dell'Unione in virtà
dell'effetto band-wagoning. E così il tentativo di Tsipras,
che doveva suonare la tromba della ribellione europea, si è concluso in
una specie di stupro di gruppo.
Ora, quella della forza è sempre
stata la regola dei rapporti tra stati. Il diritto internazionale ha
sempre funto da travestimento di tale realtà. Quella internazionale non è
mai stata davvero una comunità di diritto. Ed è questo il vulnus
principale dell'UE: non aver introdotto alcun elemento di vera novità in
tale scenario. Vince il più forte, come sempre. Perché il più debole abbia delle chanches, serve il diritto.
Ma come si trasforma una comunità (di stati come di individui) in una comunità retta dal diritto?
Le migliori menti del '900 hanno già fornito una risposta a questa domanda.
Hans Kelsen, nel suo Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale (1920)
ha spiegato come meglio non si poteva che l'unico strumento di
costruire una pacifica convivenza tra stati, eliminando dalla scena il
sopruso e la prepotenza di quelli più forti, non sta nella costruzione
di un unico immenso stato federale, bensì nell'istituzione di un'unica Corte di Giustizia. Un
giudice, insomma, che in piena indipendenza sia deputato a dirimere i
contrasti tra stati, distribuendo torti e ragioni e affermando il
diritto.
Kelsen, in una
ricostruzione che non risparmia riferimenti all'antropologia, dimostra
come nelle comunità umane è sempre la giurisdizione a precedere la
legislazione. Prima si istituisce il giudice, e solo dopo si pensa a elaborare un testo normativo che ne vincoli la giurisprudenza. Questo
perché la presenza di un soggetto terzo che stabilisca chi ha ragione
tra i contendenti è la condizione minima e irrinunciabile del diritto.
Il giudice può decidere (e storicamente ha deciso) secondo la
consuetudine, le credenze, i principi etici. La legge invece senza un giudice è muta, come se non esistesse. Non è diritto ma parodia del diritto.
Nella
sua lezione Kelsen prevedeva il fallimento di un'istituzione quale la
Società delle Nazioni, e proponeva al suo posto l'istituzione di una
Corte Internazionale, che avrebbe giudicato non in base a leggi o
trattati, ma fondandosi sulle consuetudini e i principi del diritto
internazionale, dei quali il più importante è quello dell'eguaglianza
tra gli stati, del loro eguale diritto a prescindere dalla forza loro
disponibile.
Ad un organo del
genere dovrebbero essere poste le questioni presentante nella prima
parte di questo post, ed alle sue decisione ci si dovrebbe rimettere.
La
costruzione europea abbonda di leggi ma non ha un giudice che le faccia
vivere. Che nessuno si azzardi a tirare in ballo la Corte di Giustizia
dell'Unione Europea (Lussemburgo) o la Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo (Strasburgo). Istituzioni che non hanno avuto, e non avrebbero
potuto avere, il minimo ruolo nel conflitto tra la Grecia e i suoi
creditori-aguzzini.Questi Corti, peraltro, potrebbero fungere, nel breve
termine, da surrogato del giudice di cui stiamo parlando: basterebbe
che gli stati di comune accordo demandassero loro la soluzione delle
questioni suesposte.
Ecco una battaglia che le forze democratiche ed europeiste potrebbero combattere. Invece
di perseguire autentiche bufale come gli Stati Uniti d'Europa,
propongano di rendere quella europea una comunità di diritto, di
giuridicizzare i rapporti tra gli stati, invece di lasciarsi in balia
dei rapporti di forza.
Naturalmente
una simile proposta non sarebbe ben vista dagli attuali decisori
politici degli stati forti dell'UE, che vogliono mantenere i loro
privilegi. Sarebbe però interessante scoprire quali argomenti si
potrebbero inventare contro una proposta simile, che è capace di
suscitare consensi unanimi per la sua evidente civiltà e ragionevolezza.
Se
l'UE non farà questo passo, e dunque non si distinguerà nettamente dal
mondo che esiste al di fuori di essa, un mondo retto dalla legge del più
forte, non è lontano il tempo in cui alla sua superfluità sostanziale
si accompagnerà l'abrogazione formale.