Maurizio
Landini sta compiendo un'operazione che ha pochi precedenti in
Italia: sta mettendo i buoi davanti al carro.
Ogni
impresa politico-elettorale deve tendere ad un certo fine, estraneo a
quello dell'auto-preservazione e dell'accrescimento dell'impresa
politico-elettorale in sé. Questo per dire che essa deve servire
a qualcosa; deve fa sì che alle masse elettorale sia chiaro il
perché, l'utilità pratica di quell'operazione.
Quando
l'impresa non presenta alcun fine diverso da quello della mera
auto-affermazione, può dirsi che essa sia fine a sé stessa; e
poiché in fin dei conti stiamo parlando di imprese volte ad
accaparrarsi quote di potere nella società, possiamo dire che
un'operazione politica completamente fine a sé stessa altro non è
che un'operazione di potere: una ricerca del potere per il potere.
Le
operazioni di potere possono anche ottenere grandi successi
elettorali. Ne è un esempio il fenomeno Renzi, la cui proposta
politica coincide palesemente e ostentatamente
con l'espansione del proprio potere. Vi è però un distinguo: la
ricerca del potere per il potere si confà alle forze politiche
sistemiche, o di regime, o mainstream che dir si
voglia. Mal si attaglia, al contrario, alle forze (anche latamente)
anti-sistema, contestatrici del regime. Quando queste si producono in
operazioni politiche esclusivamente finalizzate alla propria
auto-preservazione, scontano un'oggettiva difficoltà: l'elettore che
è disposto ad aderire a simili proposte sarà sempre attratto da chi
ha già a disposizione grandi quantità di potere, o comunque ha
maggiori probabilità di ottenerlo e accrescerlo; in altre parole,
questo elettore sarà sempre attratto dai partiti sistemici, e non
certo da quelli (anche
latamente) anti-sistema, che ben poco hanno da offrire in
termini di potere (altrimenti, Lapalisse, non sarebbero
anti-sistema). L'elettore che invece non vota chi ricerca il potere
per il potere, e sarebbe perciò propenso a non votare i partiti di
regime, scanserà con disgusto il partito anti-sistema che si
comporta esattamente come le forze mainstream.
Ciò
in buona parte spiega i clamorosi insuccessi della sinistra radicale
(?) italiana degli ultimi 7 anni, dal 2008 ad oggi. Le varie
aggregazioni proposte (Lista Arcobaleno, Federazione della Sinistra,
Sinistra Ecologia Libertà, Rivoluzione Civile, Lista Tsipras) non
avevano altro da offrire che la preservazione del proprio ceto
dirigente. Il (poco) voto raccolto è da considerarsi, perlopiù come
voto identitario, di bandiera; non voto utile, non voto per qualcosa.
Per
una forza anti-sistema, l'unico modo di non apparire (e di non
essere) una mera operazione di potere è dotarsi di un programma
di governo.
Qualcuno
dirà: e che ci vuole a fare un programma di governo? Si possono scrivere in una notte!
Ora,
il programma di governo NON è una lista della spesa che elenca le
misure da adottare; è un programma di azione collettiva, che non può
che essere elaborato collettivamente da soggetti capaci di
garantirne l'attuazione. Questo è un punto chiave. Il programma
non è una serie di desiderata, appartenente non al genere
della politica ma a quello delle chiacchiere salottiere: il programma
è un progetto di trasformazione sociale attuabile sin da subito,
concretamente. Esso non comprende solo il cosa fare, ma il come
farlo, non solo l'obiettivo, ma gli strumenti effettivi per
raggiungerlo. Il programma, per così dire, è incarnato dalle
persone in grado di realizzarlo. Quando si è in grado di
stendere un progetto di trasformazione sociale che tocchi davvero
interessi profondi e diffusi; quando si sono raccolte le persone in
grado di attuarlo concretamente (futuri ministri, deputati, dirigenti
di vario tipo); e quando si è approntato un meccanismo di
partecipazione democratica capace di responsabilizzare queste
persone, costringendole eventualmente a render conto
del loro operato; allora si può dire di avere un programma di
governo.
Va
da sé che per giungere ad un simile risultato occorrono anni
di immane lavoro da parte di numerosissime persone
organizzate. Occorre essere in grado di raccogliere le
istanze anche del più piccolo gruppo di interessi, le cui
aspirazioni siano compatibili con i valori di fondo
dell'organizzazione; e occorre stabilire luoghi di discussione per
giudicare tale compatibilità. È necessario raccogliere tutte le
migliori risorse intellettuali, tutto l'expertise diffuso
nella società, e metterle in comunicazione tra loro. È necessario
selezionare la futura classe di governo, una schiatta di donne e
uomini capaci di confrontarsi con le immense difficoltà che pone la
trasformazione sociale. Ed è indispensabile che tutto ciò avvenga
in un quadro di confronto democratico e trasparente, il che
presuppone regole certe, ed
elaborate in maniera partecipata,
su come deve essere condotto il dibattito e su come vengono prese le
decisioni.
Ecco
cos'è un programma di governo.
Confronti il lettore l'elenco di requisiti che ho appena richiamato,
con le condotte della sinistra radicale ieri, e del M5S oggi.
Un
passaggio obbligato per imboccare una simile strada è, ritengo,
quello indicato da Maurizio Landini: riunire
in una coalizione sociale le associazioni e i gruppi di interessi
alla cui base si trovano i valori che la nostra società ogni giorno
umilia e devasta. Queste
realtà devono cominciare a “parlare” tra di loro, a scoprire che
cosa hanno in comune nonostante le differenze; e a lavorare insieme
su piccoli obiettivi ampiamente condivisi e facilmente raggiungibili,
coniugando (auspicabilmente) eccellenza intellettuale e dimensione di
massa. Solo così può
iniziare il cantiere del programma di governo del domani.
Fare altrimenti, lanciare nell'agone politico un cartello elettorale senza aver prima elaborato un progrmma di governo, compiere un'operazione di ricerca del potere per il potere: questo sarebbe, invece, un modo di mettere il carro davanti ai buoi, ed in definitiva di suicidarsi.
Fare altrimenti, lanciare nell'agone politico un cartello elettorale senza aver prima elaborato un progrmma di governo, compiere un'operazione di ricerca del potere per il potere: questo sarebbe, invece, un modo di mettere il carro davanti ai buoi, ed in definitiva di suicidarsi.
Non
so se Landini abbia davvero in mente quello che ho appena descritto.
A sensazione, direi quasi di sì. Ma solo il tempo ci dirà se ciò
che il segretario della FIOM immagina sia davvero una cosa seria, o
una boutade televisiva. Certo, se è una cosa seria prima o poi
verranno al pettine certi nodi: come quello della permanenza della
stessa FIOM in quello che è, a tutti gli effetti, un elemento del
sistema come la CGIL.